Coin Slider Gallery Fontanelle Molisane: Il ruolo centrale dell’acqua nell’occupazione della Palestina

mercoledì 28 dicembre 2011

Il ruolo centrale dell’acqua nell’occupazione della Palestina

La strategia israeliana per il controllo e lo sfruttamento delle scarse risorse idriche del Medio Oriente
da http://www.palestinalibera.org/
di Hamid EL BILALI e Samer JARRAR (agronomi del coordinamento di Tadamon Filastin – Bari)


La questione dell’acqua è fondamentalmente politica in Medio Oriente (MO), soprattutto nei Territori Palestinesi Occupati e nel Golan, e testimonia della politica discriminatoria di Tel‐Aviv.
Vitale per Israele, il problema idrico sta al centro di tutta la sua strategia militare e colonizzatrice. Il consumo d’acqua in Israele (2.000 milioni metri cubi (mc)/anno) supera le risorse rinnovabili (meno di 1.500 milioni mc annui). I principali corsi d’acqua in MO sono i fiumi Giordano e Yarmuk, le cui acque sono usate soprattutto da parte di Israele.
Subito dopo la dichiarazione della sua creazione, Israele cominciò a mettere in pratica una politica che mirava a controllare tutte le risorse idriche in MO, o almeno quante più possibile. Nel 1964, il National Water Carrier (Canale di Trasporto di Acqua) diventò operativo ed Israele cominciò a prelevare l’acqua dal Lago di Tiberiade per irrigare il litorale e il Negev. Israele preleva una gran parte delle acque del Giordano. La guerra del 1967 consentì ad Israele di accaparrarsi delle risorse d’acqua di Gaza, della Cisgiordania e del Golan.
Secondo l’OMS un consumo d’acqua adeguato è di 1000 mc/anno e si parla di scarsità d’acqua quando si scende a 500 mc/anno. Nel MO la nazione con la quota più bassa è la Palestina, soprattutto la Striscia di Gaza, con 180 mc/capite/anno. Il consumo medio annuale di un israeliano (357 mc) è quattro volte più elevato di quello di un Palestinese di Cisgiordania (84,6 mc). Comprensivo di tutti gli usi, il consumo medio in acqua da parte dei Palestinesi, in Cisgiordania e Gaza, è di circa 150 mc/persona/ anno, mentre i coloni della Cisgiordania ne consumano a testa 700/800 mc/anno. Il consumo agricolo è nello stesso modo largamente più elevato in Israele. Le colonie irrigano il 60% delle loro terre coltivate, contro il 45% in Israele e solo il 6 % in Cisgiordania. In Cisgiordania, tre falde acquifere forniscono un terzo delle riserve idriche ad Israele, che consuma quasi l’86% dell’acqua della regione. I palestinesi ne utilizzano solo l’8‐12% ed i coloni israeliani il 2 ‐ 5%. Il controllo delle sorgenti d’acqua sta nelle mani della Compagnia israeliana Mekorot, che eroga ogni anno 110 milioni mc al milione e mezzo di Palestinesi (73 mc/abitante), 30 milioni mc ai 140.000 coloni (214 mc/colono), mentre 460 milioni mc partono per Israele (Rousseau, 2007).
La riserva media di acqua per la comunità palestinese in Cisgiordania è di circa 63 litri/persona/giorno. Solo nel 16% (100 su 708) delle comunità palestinesi le riserve per persona superano i 100 litri/giorno e solo il 69% di loro è collegato alla rete idrica. Solo il 7% dell’acqua disponibile nella Striscia di Gaza rispetta gli standard dell’OMS. Israele impedisce ai Palestinesi di accedere alle risorse idriche legalmente, tecnicamente e fisicamente. I Palestinesi non hanno assolutamente accesso al bacino idrico del Giordano. La legislazione israeliana sull’acqua del 1959 rendeva le risorse idriche «una proprietà pubblica (…) sottoposta all’autorità dello Stato». Due disposizioni sono state introdotte nel 1967 (Rousseau, 2007): (1) il divieto di qualsiasi nuova infrastruttura idrica (per es. nuovi pozzi) senza autorizzazione, e (2) la confisca delle risorse idriche. Per applicarle Israele usa ad oltranza ordinanze militari. Lo strumento principale della discriminazione è quello degli ostacoli imposti alle trivellazioni dei pozzi. Attualmente in Cisgiordania sono operativi 350 pozzi palestinesi (6,5 % di tutti i pozzi) dei quali solo 23 sono stati perforati dopo il 1967. Il diritto di scavare nuovi pozzi necessita di un permesso, rilasciato a discrezione delle autorità israeliane. Dopo il 1975 vengono imposte delle quote di prelevamento di acqua e il loro superamento comporta pesanti sanzioni. La quantità d’acqua a disposizione degli agricoltori della Cisgiordania è congelata al 1967: Il plafond è fissato a 90‐100 milioni mc/anno, per 400 villaggi, mentre la quantità d’acqua messa a disposizione delle colonie è aumentata del 100% negli anni 80. La «legge sugli assenti» ha permesso ad Israele di espropriare innumerevoli terre e pozzi utilizzati dai Palestinesi prima del 1948. Israele ha dichiarato molte zone della Cisgiordania 24 «regioni sottoposte a razionamento», «distretti di drenaggio», e «aree di sicurezza militare» (per es. il bacino del Giordano) limitando così l’accesso dei Palestinesi all’acqua (Rousseau, 2007).
L’Agenzia ebraica e il Fondo nazionale ebraico (FNJ) controllano la Mekorot (Società israeliana di gestione dell’acqua) e la Tahal (Società di pianificazione delle risorse idriche di Israele). A partire dal 1967, la Mekorot ha sviluppato reti di distribuzione in favore, quasi esclusivamente, dei coloni. Nei settori palestinesi serviti dalla Mekorot in Cisgiordania, lo stato di manutenzione è tale che fino al 40% dell’acqua trasportata è persa in rete. Il sistema idrico palestinese è rimasto allo stesso livello del 1967 ed i palestinesi sono costretti ad usare camion‐cisterna, facendo rincarare il prezzo dell’acqua. Gli israeliani beneficiano dell’acqua corrente tutto l’anno mentre i Palestinesi sono vittime di interruzioni arbitrarie, in particolare durante l’estate. I villaggi palestinesi ricevono acqua solo per poche ore la settimana e la popolazione viene obbligata a farne riserva in bidoni, con condizioni igieniche precarie e rischiose, mentre le postazioni militari israeliane e le colonie sono alimentate 24 ore su 24. Per quanto riguarda il prezzo pagato da un consumatore palestinese, in via di principio è lo stesso per un israeliano, però il PIL è 20 volte più elevato in Israele. L’acqua è fortemente sovvenzionata per i coloni. La Mekorot pratica non solo una distribuzione discriminatoria, ma anche delle tariffe discrezionali. Essa fa pagare agli Israeliani 0,7 $/mc per uso domestico e 0,16 $ per uso agricolo, mentre i Palestinesi devono pagare sempre 1,20$/mc anche in caso di uso agricolo (Rousseau, 2007).
I Palestinesi non hanno il diritto di perforare pozzi senza l’autorizzazione militare israeliana (anche per il rifacimento e la manutenzione dei pozzi), mentre i coloni lo possono fare e sempre più a grandi profondità (300‐500 m mentre quelli palestinesi non possono superare i 140 m). In queste condizioni, l’Autorità Palestinese dell’Acqua, creata dal Trattato di Oslo 1, faceva una ben magra figura prima di essere addirittura annullata da Oslo 2, dato che solo Israele gestisce l’acqua. Israele viola la Convenzione di Ginevra, che regola lo statu quo dei suoli dei territori occupati, scavando pozzi per i suoi insediamenti, mentre nel contempo congela lo sfruttamento palestinese dell’acqua (Rousseau, 2007).
La situazione più drammatica è riscontrata nella Striscia di Gaza che sfrutta le sue risorse rinnovabili per il 217%, rischiando di portare a secco queste falde. Inoltre, la superficie è piccola e le precipitazioni sono deboli e scarse. Si valuta che solamente 35 milioni mc/anno alimentino la falda freatica. Visto l’aumento della popolazione (da 50.000 prima del 1948 ad oltre 1,5 milioni oggi) la falda d’acqua è sovra‐sfruttata, e il 70% delle sue sorgenti è compromesso. Gli israeliani pompano a tutto spiano e seccano i pozzi palestinesi, la cui acqua disponibile risulta salmastra a causa dell’intrusione dell’acqua del mare e/o inquinata con le acque reflue non‐trattate. Non esistono corsi d’acqua nella striscia di Gaza ma piccoli fiumi (es. Wadi Gaza). Gli Israeliani hanno disposto piccoli sbarramenti e la sola acqua che scorre ormai nel Wadi è quella già usata e non ritrattata della città di Gaza (Rousseau, 2007).
Il vero ruolo del Muro e la politica di annessione praticata da Israele è anche quello del controllo delle risorse idriche, soprattutto le falde acquifere, della Cisgiordania. La politica israeliana dei «fatti compiuti» e la volontà palese di conquista territoriale ha soprattutto per obiettivo quello di mettere le mani sul 90% delle risorse idriche della regione, cosa che dovrebbe diventare effettiva quando il Muro sarà terminato. Questa politica è pianificata per cacciare i Palestinesi dalla Cisgiordania attraverso la limitazione all’accesso e il prosciugamento delle loro risorse idriche. Il tracciato del Muro segue una logica deliberata, il massimo di terra col minimo di popolazione, seguendo accuratamente le principali colonie e racchiudendo gli accessi all’acqua. Separare i pozzi dalle terre provoca l’abbandono dei territori e la loro confisca da parte di Israele sulla base della «legge sui terreni non coltivati». Ad esempio, a Qalqiliya e Tulkarem, nel giugno 2003, più del 50% delle terre irrigate sono state isolate e più del 5% rovinate definitivamente, 50 pozzi e 200 cisterne si sono ritrovate isolate o in una zona cuscinetto, 30 km di reti di irrigazione e 25 pozzi e serbatoi sono stati distrutti, affliggendo 51 municipalità, ossia più di 200 mila persone (Rousseau, 2007). Inoltre, Israele distrugge sistematicamente le infrastrutture idriche palestinesi. Un rapporto dell’ONU indica che fra la firma del primo (1993) e del secondo accordo di Oslo (1999), sono stati distrutti 780 pozzi. Gli elicotteri israeliani bombardano i serbatoi sui tetti delle case, e perfino i pozzi importanti, come avvenne a Rafah (Striscia di Gaza), inizio 2003, dove diversi serbatoi, condotte idriche e acquedotti sono stati distrutti, inclusa la stazione di sollevamento di due pozzi che 25 fornivano l’acqua al 50% degli abitanti della città (Rousseau, 2007). Nel marzo 2003, dopo l’inizio
della Seconda Intifada, sono stati danneggiati nei Territori occupati 151 pozzi, 153 sorgenti, 447 cisterne, 52 tanker, 9.128 serbatoi da abitazione, 14 bacini di riserva, 150 km di condutture e canalizzazioni che collegano più di 78.000 abitazioni (Gruppo Idrogeologico Palestinese ‐ Marzo 2003).

È inaccettabile che Israele si accaparri la quasi totalità delle risorse idriche in MO a profitto esclusivo dei suoi cittadini minoritari. Israele rifiuta, fino a questo momento di negoziare questo argomento, tanto con l’Autorità palestinese che con i suoi confinanti, come dimostrato dalla sua politica nel Golan siriano, e non rispetta nemmeno i principi della politica internazionale sull’acqua.



Bibliografia e sitografia
http://www.arabcomint.com, [25/05/2009].
http://guide.supereva.it/geo/interventi/2001/06/51031.shtml, [24/05/2009].
Rousseau, A. (2007). L’eau, enjeu central de l’occupation de la Palestine, “L’acqua, questione centrale dell’occupazione della Palestina”. A
nome del “Collectif Girondin de Soutien au Peuple Palestinien”, Traduzione di Curzio Bettio di “Soccorso Popolare di Padova”, 12 giugno 2007.
http://sguardosulmedioriente.it/portal/articoli/art/Palestine,[24/05/2009].

Nessun commento:

Posta un commento